Ora di supplenza

D(ur)ANTE ALIGHIERI
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L'emblema della Repubblica italiana
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I L BLUE JEANS (testo di Marco Nicola, 2021)

Alcuni di voi forse già sapranno che la parola "jeans" è legata al nome della città di "Genova". La storia che c’è dietro è affascinante e c’è molto di più da scoprire. Facciamo un salto nel passato!
All'inizio del XVI secolo l’economia europea è scossa a causa delle nuove rotte commerciali stabilite sia verso l’oriente (Le Indie Orientali cioè l’arcipelago della Malesia e per estensione l’India propriamente detta) sia verso l’occidente (le Indie Occidentali cioè i Caraibi e per estensione le Americhe).
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Man mano che l’importanza delle colonie americane cresce il baricentro del mondo tende a spostarsi verso occidente e il mare di riferimento comincia ad essere l’Oceano Atlantico e non più il Mar Mediterraneo che invece è sempre più lacerato e diviso.
Costantinopoli è caduta da tempo. Le sue inespugnabili mura si sono sgretolate sotto i colpi di artiglieria degli innovativi cannoni messi a punto nel Sublime Stato Ottomano. I nuovi padroni delle rotte d’oriente si sostituiscono rapidamente all’Impero Romano e sembrano inarrestabili. Espansionisti, militaristi e più colti degli europei guardano con sufficienza alle Repubbliche Marinare italiane di Genova e Venezia, che continuano ad avere possedimenti nella loro area di influenza (Creta, Cipro e molte altre isole erano sotto il controllo dei Veneziani mentre Genova possedeva ancora alcuni territori tra cui le isole di Chio e Samo di fronte alla costa turca). L’ostilità sfocia in numerose guerre che si susseguono e vedono costantemente in difficoltà le potenze occidentali. La simbolica vittoria della battaglia di Lepanto del 1571, non influirà sulle sorti della guerra di Cipro e di quelle successive che risulteranno invariabilmente perse. I possedimenti veneziani e genovesi nel Mediterraneo Orientale, uno dopo l’altro, finiranno così tutti per essere inglobati dalla potenza islamica.
Come si dice “ogni crisi è un’opportunità” e “la necessità aguzza l’ingegno”. Non restava altro da fare che reinventarsi. Provare a fare cose nuove, che non si sono mai fatte. Ad esempio navigare dall'altra parte e sviluppare nuove merci. In questo Genova è certamente avvantaggiata rispetto a Venezia se non altro per la posizione geografica. I tentativi di esplorazione a occidente erano stati innumerevoli. Oltre a quello famoso di Colombo ce ne sono molti di meno noti. Nel 1312, ad esempio, Lanzerotto Malocello originario di Varazze nel Savonese si spingeva già via mare nell'Oceano oltre le colonne d’Ercole e si imbatteva nelle Isole Canarie, stabilendosi poi sull'isola di Lanzarote che da lui prenderà il nome.
Di Colombo tanti hanno già parlato e non potrei aggiungere molto, ma non è questo il punto. Il punto è che Genova era una potenza marinara. A Genova, punto più a nord del Mediterraneo Occidentale, si costruivano navi e si trasportavano merci che dovevano servire l’Europa. A Genova c’erano cantieri navali all'avanguardia che disponevano di tecnologie per costruire navi in grado di solcare gli oceani. Ci volevano i migliori materiali. I legni più pregiati, sì, ma anche il cordame, e la stoffa. Stoffa robusta e di basso costo per coprire e proteggere le merci più preziose, quella per vestire i marinai e la stoffa per fare le vele, il motore delle navi. Ma Genova era una città stretta, tutta schiacciata tra la costa scoscesa e le montagne subito alle sue spalle. Non si potevano coltivare estensivamente piante adatte a produrre fibre tessili. Non si potevano nemmeno lavorare filati grezzi perché non c’era spazio per grandi opifici. Però si potevano scambiare merci. I portoghesi avevano trovato la rotta per l’India (vedi Curiosità n°2). Non si doveva più pagare dazio agli Ottomani. Le spezie sbarcavano dalle navi portoghesi nel porto, in abbondanza. Con esse cotone e indaco a buon mercato. Ci si poteva fare commercio.
Gli ingegnosi e astuti imprenditori piemontesi non si lasciarono sfuggire l’occasione.
Un’intera area del Piemonte si chiama Canavese. Prende il nome forse dal nome di un’antica città chiamata Caneva ma secondo alcuni è per via delle coltivazioni estensive di canapa che vi erano. In Piemonte tale pianta era davvero molto diffusa e gli artigiani piemontesi erano esperti di tecnologie tessili e sapevano bene come filarla, lavorarla e tingerla. Si lavorava anche il lino. Non ci volle molto per trasferire quelle tecnologie sul cotone. E fu così che a Chieri, città vicina al canavese e all'epoca più grande di Torino, ricche famiglie di tessitori convertirono la loro produzione ai tessuti di fustagno, una innovativa stoffa molto robusta ed economica fatta con lino e cotone. La tingevano di blu con il gualdo che cresceva abbondante nella zona oppure con l’indaco che era sempre più economico e proveniva dall'India insieme al cotone. Portavano le materie prime da Genova e vi tornavano con i carri pieni di stoffa finita da spedire via mare. Anche a Nîmes in Francia, non lontano da Marsiglia avevano capito l’affare e si buttarono sulla produzione del nuovo tessuto, privilegiando un po’ di più la qualità a fronte di un prezzo più alto. Fu così che vennero fuori due tipi di fustagno blu. Era fenomeno comune che le merci prendessero il nome dalla zona della loro provenienza. Uno dei due tessuti prese quindi il nome di Denim che deriva da De Nîmes cioè tessuto della città di Nîmes e l’altro invece da Genova, che pur non essendo il punto di produzione era comunque il punto di imbarco e quindi, agli occhi del resto del mondo, di provenienza. Genova in francese (all'epoca lingua franca usata in ambito marinaresco) era infatti Gênes e pronunciato all'inglese ha finito per trasformarsi in jeans. Poiché il tessuto a buon mercato era spesso tinto di blu (col gualdo o con l’indaco) ed era prodotto a Genova si arriva quindi a Blue Jeans.
Detto questo non si deve però dimenticare che vere antenate della stoffa di jeans sono, effettivamente, alcune "tele di jeans" fatte di lino tinto d'indaco già nella prima metà del '500 e forse anche prima. Una speciale collezione di 14 dipinti eseguiti su queste tele, si può osservare al Museo Diocesano di Genova. Si tratta di una particolare tipologia di pittura devozionale eseguita a monocromo con biacca (di questo materiale parleremo in futuro) su teli di lino tinti di indaco. Denominati Teli della Passione, ritraevano appunto scene della passione di Cristo ed erano di carattere effimero in quanto venivano usati in allestimenti temporanei realizzati durante la Quaresima. Dovevano quindi essere fatti probabilmente con materiali non troppo costosi.
Quasi contemporaneamente, come abbiamo visto, comincerà ad affermarsi il fustagno blu, la vera e propria stoffa di jeans, che troverà ampia fortuna grazie proprio alla sua economicità e robustezza. In diverse varianti verrà usata per secoli dalle classi popolari (e non solo) lasciando anche qualche importante traccia. Tutti sappiamo, ad esempio, che le camicie che fecero l'Italia erano rosse ma pochi sanno che sotto quelle camicie molti indossavano pantaloni di jeans, resistente capo d'abbigliamento diffuso tra i portuali. Ne possiamo ancora osservare un paio eccezionale, proprio di Garibaldi, conservato al Museo Centrale del Risorgimento a Roma, esposto in una speciale bacheca del Vittoriano.
All'incirca nello stesso periodo, nel 1853, in seguito alla scoperta dell'oro in California, Levi Strauss fondò a San Francisco la Levi Strauss & Co. per vendere robusti capi d'abbigliamento utili ai cercatori d'oro. Nel 1871 il sarto Jacob Davis, aggiunse ai pantaloni i rivetti in rame per rinforzare i punti maggiormente soggetti ad usura, come le tasche, particolarmente riempite dai cercatori d'oro e dai minatori. Nel 1873 i due si misero in società e presentarono il brevetto dei famigerati pantaloni da lavoro di blue jeans.
Nel '900 i blue jeans diventano uno degli emblemi più caratteristici dell'Occidente segnando profondamente la moda e la cultura. Attraversando tutte le tendenze e le divisioni sono divenuti allo stesso tempo un’icona della classe operaia e status symbol per rampolli di successo, imprenditori e giovani sportivi.

enrico galiano
Insegno, scrivo, faccio video
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